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Si sente spesso parlare del rapporto tra paziente e psicologo.
Il grado di comprensione e di partecipazione emozionale che si crea tra i due contribuisce infatti in maniera significativa alla creazione di un percorso terapeutico efficace.
Cosa funziona o cosa non funziona quindi in una terapia? L’abbiamo chiesto alla nostra psicologa, Dott.ssa Cristina Mencarelli che, attraverso questo articolo, ci spiega, il bellissimo, ma non sempre facile, rapporto tra loro, gli “addetti ai lavori”, e il paziente.

Un intervento terapeutico è caratterizzato da azioni-parole e relazione, inestricabilmente legate fra loro: le azioni rappresentano il comportamento manifesto del terapeuta e del paziente mentre le parole sono il contenuto della terapia. La relazione è l’oggetto della terapia e il legame che unisce il terapeuta e il suo paziente.
In un setting terapeutico avviene subito un’ interazione tra i due: vi è un “incontro” tra il paziente che porta sé stesso e la sua sofferenza e il terapeuta che entra nella storia del paziente in quanto sé stesso.
Cosa succede? È un doppio scambio: io con il mio mondo, i miei desideri, aspettative, emozioni incontro una persona che riesce a suscitare in me dei comportamenti figli di emozioni diverse mentre il paziente in terapia porta il suo dolore e quindi a sua volta mi porta un’emozione. È una delle prime cose che uno psicologo deve chiedersi e subito dopo deve domandarsi come percepisce quello che il paziente suscita in lui.
Per esempio in un paziente ansioso si può percepire la sua ansia, la sua situazione di disagio ed io, nel contesto della mia percezione, posso provocare il paziente per quello che mi racconta e, per entrare nel racconto di quello che mi viene detto, posso stuzzicare, provocare, cercare di far breccia in lui. Devo riconoscere, essere consapevole del suo codice emotivo ma anche di quello che, in quel momento, sto provando io. Per entrare in relazione con lui devo poter entrare nel suo racconto, utilizzare i suoi strumenti di conoscenza (epistemologici, emotivi), condividere le sue sofferenze e riconoscere il suo dolore. Devo essere sensibile a ciò che mi presenta per fare in modo che la mia maggiore consapevolezza possa diventare lo strumento mediante il quale il paziente aumenta la propria. Instauratosi la relazione entrambi compiamo un percorso, dove il cammino si fa insieme. Dove tu (paziente) mi racconti il tuo dolore e io (terapeuta) mi faccio carico del tuo dolore e, con la mia esperienza e la mia capacità, posso aiutare la tua sofferenza. La relazione che si instaura non è scindibile dalla parola e dal linguaggio.
La parola, oltre al comportamento non verbale, ci fa comprendere come il paziente racconti la sua sofferenza e insieme al flusso del linguaggio ci da indizi molto utili (se è monotono, se arricchito di sfumature, se balbuziente, ecc..). La parola è importante perché dà delle indicazioni del trauma subito (flusso dell’eloquio) e il modo in cui mi racconta un episodio, una storia, mi dà un’idea del suo vissuto e di come lo percepisce. Noi lavoriamo molto sulle parole del paziente perché spesso egli dà dei significati più importanti di quelli di cui ne è consapevole e in psicoterapia possiamo vedere cose di cui lui ancora non ne è consapevole.
Credo che sia necessaria molta cautela nel fornire le parole al paziente. La parola può avere un potere di persuasione, di accondiscendenza, un potere di rifiuto. Anche per me la parola è importante perché in base a come mi esprimo posso persuadere, posso dimostrare al paziente che lo capisco, che lo comprendo. Le persone con le parole possono raccontare tante cose, riempire di dettagli i loro racconti ma in realtà non dire nulla, la parola può essere usata come sistema di difesa, può avere il potere di dare nuovi significati a ciò che egli dice. Il tono della parola è molto importante e non dovrebbe essere apatico, freddo, distaccato, ma al contrario dovrebbe trasmettere emozione, calore, accoglienza.
Anche le azioni (gli atti) sono legate alle parole, così come le parole sono legate alle azioni. Un ruolo importante è rivestito anche dal contatto e il modo con il quale pronuncio una parola affettuosa posso accompagnarlo con un gesto come un abbraccio, una carezza, o un qualsiasi altro movimento.
In conclusione ritengo di poter affermare che alla base di un intervento terapeutico sia importantissima la relazione. Le parole sono collegate agli atti e tutte le componenti danno la giusta sincronizzazione alla terapia. Non riesco a vedere una componente più importante delle altre e per aiutare “l’altro” ritengo che il terapeuta non si possa privare di nessuna di esse.

Dott.ssa Cristina Mencarelli
Studio Medico Via Pippo Spano, 1
tel 349 8323423
mencrisfra@virgilio.it