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Articolo a cura del Dott. Alfonso Lagi – Prende avvio da questo numero una rubrica dedicate alla descrizione di casi clinici che ho osservato nella mia lunga esperienza professionale. L’insieme delle storie, già raccolte in un volume, è dedicato ai miei pazienti più intelligenti e ai miei colleghi che riconosceranno alcuni comportamenti stereotipati, riferibili a se stessi o a loro conoscenti. E’ un discorso semiserio, con qualche nota amara sulla mentalità comune e sulla vita quotidiana. Sotto l’apparente brio della narrazione ho, in realtà, voluto nascondere il senso amaro della vita che non lascia scampo a nessuno e ti colpisce inesorabile con la sua dura realtà.
La mia intenzione è stata quella di mostrare situazioni apparentemente fuori dal comune ma in realtà frequenti, prendendo spunto da un caso clinico per arrivare a rilevare il modo di reagire delle persone, psicologico e comportamentale. In particolare ho voluto evidenziare i paradossi delle loro opinioni che mal si accordano con una cultura quale ci si dovrebbe aspettare da persone che vivono ben dentro il XXI secolo, che hanno la possibilità di accedere a informazioni qualificate  e che dovrebbero avere una critica costruttiva.
Responsabilità? Non saprei. Forse il mondo dei media, la politica, la scuola, l’ignavia che caratterizza il genere umano? Non mi sono posto il problema delle colpe, nonostante la mia cultura cristiana e cattolica. Ho voluto solo osservare e ho riferito, facendo quello che si dice dovrebbe essere il lavoro del cronista.
In corsivo ho riportato i commenti e i pensieri che sono venuti a me e che non ho comunicato né ai pazienti né ai loro familiari, una sorta di colloquio riservato fra me e i miei lettori per facilitare la comprensione delle mie osservazioni.

Giovane donna di 25 anni (SE)
Inviata dal medico curante da Prato
Si tratta di una ragazza lunga e apparentemente delicata. Dico apparentemente perché sono quelle giovani donne che sembrano fragili, ma poi si rilevano molto toste di carattere e di fisico. Lì per lì però ti chiamano alla mente il giunco che si piega al primo stormir di vento ma che non si spezza mai. In ogni modo era del tipo “ce l’ho solo io”. Si  muoveva e si atteggiava in quel senso. Aveva alle spalle una lunga storia di sofferenze e di consulti medici che non avevano risolto il problema. Ricordo che veniva addirittura da una città vicina, il che mi meravigliò perché la mia fama non ha mai superato il rione dove abito.
Riferisce da sei mesi la comparsa di dolore periombelicale, che s’irradia al fianco sinistro e alla fossa iliaca quando assume la posizione eretta o seduta. La ragazza descrive la cosa con precisione ma con una certa sofferenza del tipo “ora devo durare fatica a spiegarlo anche a quest’altro, tanto alla fine non si concluderà niente”.

Queste sensazioni il medico di esperienza le avverte nel tono della voce, nell’espressione e nella scelta delle parole. Ti fa capire che fra paziente e medico non c’è comunicazione e questo depone subito male per la soluzione del problema. Ti fa capire che non è lei ad aver richiesto il consulto ma i suoi genitori, forse la madre che del resto l’accompagna e la sorveglia come se fosse un pezzo unico e raro (certamente lo è)  e possibile oggetto di contaminazione da parte di  chiunque le si avvicini. In realtà la madre pretende di filtrare tutte le sensazioni o le proposte che vengono fatte alla figlia, di spiegarle  e di decidere per lei o al massimo con lei perché la figlia, dice la madre, non ha l’esperienza sufficiente per farlo da sola. Ha molte, anzi moltissime qualità ma non quella del buon senso, del resto ne ha talmente tante (fisicità, giovinezza, intelligenza) che si può giustificare la carenza temporanea di funzioni intellettive così complesse come il giudizio.
Lo stereotipo è quello della madre protettiva – ossessiva, definita come  “l’ho avuta io ma ora l’ho passata a mia figlia, che se la merita tutta e non voglio che faccia gli sbagli che sono toccati a me”.

Per “resistere “ a tale dolore la ragazza dice di dover assumere posizioni semisdraiate.  Le è infatti intollerabile stare seduta in una poltroncina del cinema o del teatro. Non sempre la posizione distesa risolve la sintomatologia. Certo è che la notte sta bene.
L’esame obiettivo evidenzia una scoliosi destro convessa dolorabile nei movimenti e una  dolorabilità vivace alla palpazione in sede periombelicale sinistra. Nessun input erniario alla tosse sia da distesa sia in piedi.
Presenta numerosi esami ematici, ecografici e imaging del rachide non significativi, nonché testimonia numerose visite da specialisti di settore fra i più variabili. A parte un noto chirurgo cittadino che l’invia dall’ortopedico che a sua volta le consiglia un plantarista che ancora la invia a un posturologo e questo a un neurologo per finire in fondo alla lista da un ginecologico e da un odontoiatra.

In fondo la ragazza non ha torto quando pensa di aver fatto un altro viaggio senza la speranza di poter concludere qualcosa e giustifica la sua scarsa partecipazione al consulto medico.

L’esame ecografico dimostra, in piedi e solo in piedi, un’ipodensità mobile delle dimensioni sub centimetriche dolorabile alla pressione in sede paraombelicale. Si tratta di un’ernia della parete addominale che s’incarcera e provoca dolore.

La ragazza ha ragione quando pensa male dei medici ed è portata a credere che i valori della vita siano altri, diversi dalla cultura, pazienza e attenzione quali si richiedono al medico ma dovrebbe anche riflettere sul fatto che oltre la bellezza o il sex appeal, ammesso che ci siano, è opportuno praticare il rispetto e l’umiltà quando ti avvicini a chiunque cerchi di fare il proprio lavoro al meglio delle proprie possibilità.