Aggiungi ai preferiti (0)
Please login to bookmark Close

A cura della redazione – Per ben il 97% degli italiani il web è sempre di più la fonte principale per ottenere risposte su un problema di salute.
Da un questionario ​realizzato dal Centro medico Santagostino è emerso che 97,6% delle persone cerca autonomamente informazioni online. La ricerca è stata fatta su 250 pazienti ed ha evidenziato questi parametri: al primo posto troviamo i sintomi (75,9%), al secondo le patologie (73,9%) e al terzo le domande sui farmaci (67,6%).
Seguono informazioni su esami e tentativo di interpretazione di referti.

Ben il 92% degli intervistati ha confessato inoltre di non aver mai posto domande in rete riguardo al proprio stato di salute, ma di ricercare unicamente informazioni in modo passivo.

​Dai dati raccolti dunque non sembrano riscuotere molto successo i forum di pazienti e i gruppi sulla salute: il 94,3% dichiara di non avervi mai partecipato direttamente.
Per oltre metà del campione le informazioni reperite in rete sono ‘utili per farsi un’idea’, ma il 32% dei pazienti coinvolti ha dichiarato di aver bisogno di un ulteriore parere prima di procedere, mentre il 18% circa ha dichiarato di ricercare ulteriori informazioni in rete così da avere un confronto ancora più preciso.
Nel 70,2% dei casi però è stato chiesto il parere del medico.

“Quest’ultimo dato – commenta Michele Cucchi​, psichiatra e direttore sanitario del Centro Medico Santagostino ​ – ci fa tirare un sospiro di sollievo: fare delle auto-diagnosi online può fare più male che bene​. I motori di ricerca spesso forniscono informazioni irrilevanti, che possono portare ad una diagnosi sbagliata, ad un auto-trattamento sbagliato e a possibili danni per la salute. Il rischio – aggiunge Cucchi – oltre a quello di fare auto-diagnosi sbagliate, è di cadere nella ‘cybercondria’: se non si ottiene una diagnosi chiara dopo una ricerca, probabilmente si è tentati di continuare a cercare. E così si rischia di cadere in una medicina iper-prescrittiva che rincorre i sintomi e alimenta l’ansia”.

“Le persone cercano riferimenti in cui credere – osserva lo specialista – hanno bisogno di trovare rifugio da paure, senso di smarrimento e incertezza, hanno bisogno di avere fede in qualcosa, e, culturalmente, la nostra società ha messo pesantemente in discussione il totem del camice bianco. Ma alla fine internet, purtroppo, fa sì che l’ansia aumenti e non diminuisca, perché manca la rassicurazione del medico​. Tornare a creare fiducia è compito di noi medici. La medicina oggi – conclude – è forse colpevole di non sapere gestire il ‘non ho capito cosa ha, non so darle una risposta’; è ancora troppo concentrata sulla malattia e non sul malato”.