Articolo a cura del Dott. Pasquale Palumbo – Un uomo di 66 anni, di nome P. aveva iniziato, da circa un anno, un nuova fase della propria vita; si era pensionato ed aveva lasciato, dopo 40 anni, il lavoro che aveva svolto presso un’azienda di telefonia. Era stato un tecnico e i grovigli di cavi e gli impianti telefonici, per lui, non avevano mai avuto segreti; ma adesso, dopo tanti anni di duro lavoro, aveva voglia di riposarsi e di curare quei rapporti familiari che forse nel passato aveva un po’ trascurato.
Un giorno, dopo pranzo, si era seduto sul divano ed aveva letto un giornale; poco dopo, stanco, stava per appisolarsi, quando cominciò a notare un fine e persistente tremore del pollice e dell’indice della mano destra; pensò forse ad una eccessiva stanchezza e si addormentò. I giorni seguenti, si accorse ancora di alcuni episodi di tremore sempre della stessa mano, ma non disse nulla a nessuno e decise di aspettare e valutare il da farsi. Dopo una settimana, quando sua moglie gli chiese se si sentiva bene, perché lo vedeva rallentato, più taciturno e diverso rispetto al solito, lui confessò di avere notato il disturbo alla mano e di essere un po’ preoccupato. Decisero, quindi, di rivolgersi al proprio medico di medicina generale, che dopo aver raccolto delle notizie ed aver visitato il paziente, ipotizzò una malattia neurologica ed inviò il signor P. presso uno specialista.
Dopo alcuni giorni il neurologo incontrò il paziente, che, a questo punto, intimorito desiderava capire cosa gli stava accadendo.
Il medico, dopo un’accurata visita ed esame obiettivo neurologico, spiegò al signor P. e alla moglie che la patologia in causa dava luogo alla lentezza dei movimenti notata e anche al tremore; inoltre rilevò all’arto superiore e inferiore destro una rigidità muscolare e una riduzione della mimica facciale.
Quando il neurologo comunicò che ci si trovava di fronte ad una malattia del sistema nervoso centrale, il signor P. chiese con un misto di agitazione e impazienza di cosa si trattasse e perché fosse capitata proprio a lui. Il dottore gli spiegò che si trattava di una malattia cronica del sistema nervoso centrale, la cui causa è sconosciuta, caratterizzata da disturbi prevalentemente motori, come il tremore tipicamente a riposo, la lentezza dei movimenti e l’aumento del tono muscolare, dovuti alla carenza di una sostanza chimica del cervello chiamata dopamina.
Il signor P., sconfortato e terrorizzato, gli chiese se il proprio destino fosse quello di finire su una sedia a rotelle. Il dottore lo rassicurò, dicendogli che si trattava di una malattia curabile e controllabile nella sua sintomatologia, poi gli prescrisse degli accertamenti e dei farmaci chiedendogli di rivedersi dopo qualche giorno.
Al controllo successivo il paziente chiese in maniera esplicita di quale malattia si trattasse e il medico gli comunicò la denominazione della patologia, precisando che si trattava di una malattia di alcune vie nervose, chiamate sistema extrapiramidale.
Nei giorni seguenti la mente del signor P. fu pervasa da idee di rovina e da disperazione, ma piano
piano capì che bisognava comunque dare un senso alla propria vita.
Da allora il signor P., con l’aiuto della propria famiglia e di altre figure professionali importanti nella cura di questa malattia, come il neurologo, il medico di medicina generale, lo psicologo ed il riabilitatore, cominciò ad apprezzare anche semplici gesti, parole e cose che prima non vedeva; cominciò ad assaporare i piccoli piaceri della giornata, come lo sguardo affettuoso del nipotino o la sensazione di freschezza di un mattino di primavera. Col passare del tempo, anche se con qualche impaccio motorio in più, si accorse che i farmaci gli davano un grande aiuto e che comunque bisognava lottare per difendere la qualità della propria vita. Ma si accorse anche che avrebbe dovuto fare i conti con una malattia, ancora oggi, nonostante le cure, inarrestabile, progressiva, ed impietosa, una malattia che ti segue, ti insegue, ti raggiunge, ti ostacola e non ti lascia: il Morbo di Parkinson.