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A cura di Fabio Picchi – Nel Parco minerario dell’Isola d’Elba fate cento passi a sinistra, poi al Corbezzolo Gigante altri cinquanta passi guardando in faccia l’Isola di Montecristo. Vi troverete davanti improvvisamente il relitto di un macchinario che serviva a trasportare il ferroso materiale estratto. Lì ai vostri piedi vedrete, se seguirete con attenzione questa mia mappa del tesoro, una vecchia bitta dove attraccavano i velieri che trasportavano, subito dopo Piombino, tutto quel lavoro svolto dai minatori elbani, che elbani non erano.

Sì, nelle miniere della mia isola, come in quelle a cielo aperto della Corsica, lavoravano molti garfagnini che, per sfuggire alla miseria delle loro montagne, arrivavano in quel paradiso di isole per entrare, insieme alla paura, dentro il rosso sottosuolo elbano.

In Corsica le miniere a cielo aperto erano quasi argentate e non a caso, fino a pochi decenni fa, chi arrivava dal continente veniva chiamato genericamente lucchese. Lì lavoravano in queste crudeli miniere di amianto che incutevano meno paura. Nessuno però aveva mai contato i morti che quel maledetto lavoro per “incoscienza” causava fra chi ci ha lavorato decennio dopo decennio. All’Elba, superato lo spavento dei primi giorni, se si moriva era tutto nella media degli incidenti sul lavoro che ancora tutt’oggi risulta altissima. In quei tempi in Corsica nessuno rilevava alcuna media. Si moriva – chi prima chi poi – e si accusava un fato sfortunato di chi mette la sua vita in mano al caso o nelle mani della solita avidità di cui altri sono diavoleschi portatori.

Beh, continuo con la mia descrizione della mia segreta mappa del tesoro. Arrivati alla bitta voltatevi a sinistra, fate tre passi e, nascosto dietro il masso a forma di naso di indiano d’America, troverete una cassetta un po’ rugginosa, una piccola scopa di saggina e un sacco di iuta. Sempre lì, scavate in quel punto e vedrete apparirvi fra le mani il manico di un secchio da pozzo con dentro una camera d’aria di automobile serrata da due morsetti di ottone dove dentro, aperto uno dei due e girando il dado a farfallina, vi apparirà fra le mani una vecchia torcia subacquea. In quella scatola rossa, in un lato, vi è avvitato un metallico e argentato faro di una vecchia automobile che, sopraggiunta la notte, sarà capace di aiutarvi, con il suo potente fascio di luce, a farvi trovare ricchezza d’animo.

Sì, sopraggiunta la notte, un’ora dopo le tenebre, farete luce tenendola in mano insieme alla cassetta che vi servirà per spazzarvi dentro, scoglio dopo scoglio, una quantità innumerevole di piccoli granchi che lesti metterete dentro il secchio impedendone la fuga con l’umido sacco.

Accensione dopo accensione e scoglio dopo scoglio lo riempirete rapidamente. Dovrete essere pazienti e avviarvi verso casa dopo aver aspettato le prime luci dell’alba. Sarà dura…ma potrete passare il tempo pregando e ringraziando la vita. Tornati che sarete nella vostra cucina, fate soffriggere aglio tritato, prezzemolo, qualche foglia di maggiorana e tantissimo peperoncino. Quando l’aglio sarà color oro, dopo pochi minuti fermate la soffrittura con un po’ di freschi pomodorini elbani. Fatta questa operazione, a pomodoro ben stufato, aggiungete un po’ di Procanico. Fatelo sfumare rapidamente a fuoco vivace e versate nel capiente tegame i poveri malcapitati granchi. Otterrete così una sublime vivanda che, come onnivori cacciatori succhiandoli, mangiandoli e ungendovi le mani aiutati da fette di pane abbrustolito, vi riporterà indietro di millenni, quando i progenitori di tutti noi trovavano sostegno dalla vita che ci veniva regalata dal mare. Prova ne è il grande quantitativo, in ritrovati siti preistorici, di cumuli di conchiglie che, fossilizzate, ci raccontano di ciò di cui ci siamo nutriti all’alba della nostra evoluzione.

In ogni caso, d’estate preferisco i molluschi e i crostacei alle insalatine prelavate. Ovviamente raccolti e pescati con le proprie mani.