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Desidero presentare in questo articolo alcune considerazioni sul mio ultimo libro: “La mente in Ayurveda. I fattori che determinano il destino di un individuo”. Come ogni lavoro letterario, al di là di quello che è espresso apertamente nel testo, fra le righe in modo implicito il lavoro contiene altre griglie di lettura, e questo testo non è da meno in questo senso. Il libro contiene nelle sue declinazioni i miei diversi momenti formativi, quindi possiamo dire che vi sono condensati differenti momenti ed esperienze professionali che hanno permesso la realizzazione sincretica di una mia ipotesi di lettura sul dispiegarsi dell’esistenza di un individuo.

Il testo riflette alcune matrici filosofiche e conoscenze in ambito medico, psichiatrico, psicodinamico e spirituale, e quindi indirettamente esprime i miei diversi momenti formativi a partire dagli studi di base. Ho iniziato a scriverlo circa dieci anni fa e, sebbene una buona parte del testo fosse già nella mia mente, non trovavo mai la determinazione per proseguire nella realizzazione del lavoro; sono state le esperienze degli ultimi anni in ambito professionale e di studio che hanno determinato la convinzione in me di concludere questo lavoro e lasciare che iniziasse il suo viaggio.

Questi elementi determinanti sono stati alcuni livelli differenziati di conoscenza quali l’ipnosi regressiva, la fisica quantistica, la teoria dei campi morfogenetici e della genetica ondulatoria e soprattutto la medicina ayurvedica. Avevo avuto modo di studiare in Medicina Ayurvedica, nel periodo in cui avevo lavorato per il MIU (Maharishi International University), anche la sezione riguardante l’impostazione e il trattamento delle patologie mentali: nel nostro percorso formativo avevamo coperto una buona parte della conoscenza ayurvedica tranne la sezione riguardante le patologie mentali, il Bhuta Vidya; essendo psichiatra, questa sezione per me era di fondamentale importanza e, quindi, decisi di approfondirla attraverso degli studi personali.

Inizialmente non avevo fatto attenzione a questa mancanza, forse perché lo studio della medicina ayurvedica è talmente vasto che non poteva essere coperto esaustivamente in un periodo di tempo così breve; in genere la formazione in medicina ayurvedica nelle università indiane viene effettuata in sei anni con percorsi residenziali.

In un secondo momento, mi resi conto di una certa reticenza nell’affrontare il Bhuta Vidya da parte dei vaidya, i medici ayurvedici che erano i nostri maestri: reticenza in parte dovuta al disinteresse rispetto alla patologia mentale e in parte alla mancanza di un reale approfondimento della conoscenza in quel campo. Sebbene il Bhuta Vidya sia considerato normalmente come la psichiatria ayurvedica o come la medicina psicosomatica, il termine bhuta fa riferimento alle diverse dimensioni “dell’esistere”: in particolare, si riferisce all’esistenza degli esseri invisibili, o spiriti, in un’accezione comune e normalmente intesa sia dal vaidya – medico ayurvedico o “colui che conosce” – che dai cultori dell’Ayurveda in Occidente. In quanto scienza degli spiriti, rimaneva e rimane tuttora poco comprensibile agli occhi della medicina occidentale e, per tale motivo, questa sezione dell’Ayurveda è poco nota, poco studiata e poco divulgata in ambito medico; gli stessi vaidya, pur essendone a conoscenza, tendono a non correlare le patologie a questa dimensione. Susruta descrive in tal modo il Bhuta Vidya: “Prende il nome di Bhuta Vidya quella sezione dell’Ayurveda che ha come proposito la cura, mediante riti di pacificazione, offerte, rituali, eccetera delle possessioni da parte di entità catturatrici quali Deva, Asura, Gandharva, Yaksa, Raksasa, Pitr, Pisaca, Naga eccetera.” (S.S. sut. 1. 8.) Ho deciso di descrivere in questo lavoro la complessa visione ayurvedica della mente nella sua più profonda natura e mi riservo di estendere in un secondo momento l’approfondimento dei dettagli della nosografia ayurvedica rispetto alla patologia mentale e la classificazione delle varie metodologie di cura. Nella descrizione della complessità della mente, utilizzando una chiave di lettura neuropsicofisica, si comprende come l’individuo nella sua dimensione biopsicofisica possa entrare in risonanza con dimensioni diverse dell’esistere che non sono solo quelle immediatamente percepibili e comprensibili con i nostri sensi.

La risonanza si verifica nei confronti di complessi vibrazionali che possono avere una loro autonomia e che possono creare disfunzionalità all’interno della realtà biopsicofisica dell’individuo: questi complessi vibrazionali possono essere di diversa natura e avere una loro caratteristica specifica; possono persistere all’interno della mente individuale, assumendo un potere invasivamente destrutturante sul funzionamento fisiologico della mente. La visione energetica o olografica dei complessi vibrazionali costituirà, come vedremo, una possibile comprensione del Bhuta Vidya, nel tentativo di rendere comprensibile a una mente occidentale “la scienza degli spiriti” comunemente accettata in un contesto culturale che fa riferimento a diversi millenni or sono. Avevo una certa consapevolezza di quanto premesso e pensavo che questo argomento potesse essere compreso all’interno di studi antropologici o storico- filosofici riguardanti la conoscenza ayurvedica. Solo recentemente – intendo negli ultimi anni – ho maturato l’idea di presentare a un lettore occidentale e ai medici che hanno avuto una parziale formazione in medicina ayurvedica la concezione della mente in Ayurveda, nonché secondariamente un approfondimento rispetto alla visione delle patologie mentali dal punto di vista ayurvedico. Sottolineo che questa scelta è avvenuta di pari passo con una serie di esperienze evolutive recenti, che mi hanno consentito di avere una visione della complessità dell’essere umano: tali esperienze sono state illuminanti, costituendo dei tasselli mancanti che mi hanno permesso di avere un quadro più completo e più comprensibile del tema che affronterò in questo lavoro.

L’intenzione principale è quella di presentare una visione dell’uomo nel sistema di riferimento vedico, in cui l’essere umano ha una sua progettualità evolutiva strutturata all’interno di linee esistenziali flessibilmente definite; un individuo inserito in un ciclo evolutivo cosmico eterno, in cui l’aspirazione prevalente è ritornare a immergersi nella sostanza originaria.

La coscienza è prioritaria ed è la realtà senziente che organizza un eterno sogno cosmico di creazione e dissoluzione. Ogni “dimensione configurata” percorre questo ciclo all’interno di quella eternità che è. La mente e la psicopatologia ayurvedica sono un riflesso, semplicemente un riflesso, di questo gioco cosmico e in questo senso devono essere intese: come realtà qualificate che si reificano nella capacità percettiva dell’essere umano; esse, però, sono solo una dimensione possibile, coesistente insieme ad altre prospettive possibili. Il gioco di Dio ha infinite forme. Gli studiosi che si sono occupati di testi vedici o di conoscenza vedica si sono sempre trovati ad affrontare una scelta metodologica nell’impostazione e nel progredire del loro lavoro: attenersi alla traduzione letterale del testo, che va compreso nella matrice storico-culturale del periodo in cui esso è stato redatto, oppure tentare delle chiavi interpretative nella ricerca delle corrispondenze fra i principi e l’impostazione metodologica della medicina ayurvedica e la medicina dei nostri giorni. Nella stesura di questo lavoro ho scelto di non attenermi all’ortodossia, ma l’utilizzo di un’adesione letterale ai testi diviene stimolo anche per alcune riflessioni sulla visione dell’essere umano; riflessioni personali, comunque, non molto distanti da alcune impostazioni filosofiche ben note al mondo occidentale.