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A cura dell’Ing. Simone Molteni – Uragani, tempeste, incendi, allagamenti… Gli eventi meteorologici estremi a cui abbiamo assistito a partire da quest’estate hanno riportato l’attenzione dei media sul tema dei cambiamenti climatici. L’ultimo rapporto dell’IPCC (il Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico creato dall’ONU) ha stimato in appena 12 anni il lasso di tempo che ci rimane per intervenire in maniera radicale prima di raggiungere il punto di non ritorno. Molti, da questo scenario, hanno la tentazione di cedere al disfattismo. “Tanto ormai siamo spacciati!”, dicono. Niente di più falso. Il fatto di toccare con mano i primi effetti concreti dell’effetto serra deve anzi risvegliare le coscienze e spingere all’azione. Un cambio di rotta nei comportamenti quotidiani dei singoli – se rapido e serio – può ancora essere decisivo per fermare il riscaldamento del Pianeta sotto quel limite di 2 °C fissato dall’Accordo di Parigi. Un aumento della temperatura globale di mezzo grado in più potrebbe sembrare insignificante, ma farebbe invece una grandissima differenza. Le conseguenze degli stravolgimenti imposti al clima dalle attività umane sono già presenti in tutti i settori cruciali della vita dell’uomo. Dalla salute al cibo, dall’acqua all’economia, dalle infrastrutture alla sicurezza. A certificarlo è un vasto studio pubblicato a novembre dalla rivista scientifica Nature Climate Change. Secondo il quale l’umanità paga il prezzo della risalita della temperatura media globale in ben 467 modi differenti, che vanno dai decessi per disastri ambientali al peggioramento della salute per le mutate condizioni climatiche, fino ai problemi legati alla salute mentale (per esempio le depressioni posttraumatiche).

Come evitare tutto ciò?

Il già citato rapporto dell’IPCC dedica un capitolo intero alle possibili soluzioni che tutti dobbiamo attuare. L’IPCC ha sottolineato a più riprese la necessità di ridurre drasticamente la domanda di energia delle industrie, dei trasporti e degli immobili. Per salvare il pianeta, inoltre, la quota di energie rinnovabili dovrà arrivare al 70-85 per cento entro il 2050. Il passaggio dai combustibili fossili tradizionali (petrolio, gas e carbone) alle fonti rinnovabili (acqua, sole e vento) è stato nuovamente ribadito come la via più diretta per contenere le emissioni di CO2. E qualsiasi modo di accelerare questa transizione energetica è un’iniziativa meritevole e significativa. Per fare un esempio, una persona che decide di passare a un fornitore di sola energia elettrica da fonti rinnovabili (e oggi lo può fare senza lavori e senza installare pannelli fotovoltaici, ma semplicemente cambiando venditore di energia), eviterebbe l’emissione di 1.380 kg di CO2 l’anno, equivalenti a 12.000 km percorsi in auto. In pratica, è come se non usasse la sua automobile a benzina per tutto l’anno. E lo può fare chiunque, in qualsiasi casa. È l’esempio più importante e più efficace di come, con un po’ di buona volontà, possiamo limitare la CO2, che purtroppo a livello globale nel 2017 ha toccato un nuovo record, raggiungendo le 405,5 parti per milione, con una crescita del 146% rispetto all’era pre-industriale. In pratica, respiriamo l’aria che c’era sul nostro Pianeta tra 3 e 5 milioni di anni fa.

Qualità dell’aria

Parlando di qualità dell’aria, l’inquinamento atmosferico è il più grande rischio ambientale per la salute che gli esseri umani devono affrontare, secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), perché può essere messo in relazione diretta con l’aspettativa di vita. In Cina, per esempio, “l’airpocalypse” sta riducendo la durata della vita di ogni cinese di oltre tre anni, mentre in India l’inquinamento atmosferico può ridurre la durata della vita degli abitanti di quattro anni in media. In uno studio pubblicato su Proceedings of the National Academy of Sciences, una squadra di scienziati provenienti da Stati Uniti, Israele e Cina ha trovato un forte legame tra la ridotta aspettativa di vita e l’inquinamento atmosferico misurato come PM10, una forma di particolato che può arrivare in profondità nei polmoni e causare malattie respiratorie.

E in Italia?

La media nazionale è di 7 mesi in meno, ma la conformazione geografica e la concentrazione delle attività industriali nel Nord Italia fanno sì che in tutta la Pianura Padana l’aspettativa di vita venga decurtata addirittura da 1,5 a 2,5 anni. Durante l’inverno tra il 2017 e il 2018 si sono registrate a Milano medie di 80 μg / m³ di PM10 nell’aria.

Le polveri inquinanti

E di più preoccupano le polveri inquinanti ancora più sottili, note come PM2,5, ovvero con un diametro inferiore a 2,5 micrometri, perché possono penetrare in profondità nei polmoni e nel sistema cardiovascolare, aumentando il rischio di infezioni respiratorie acute e malattie cardiovascolari, ictus, malattie polmonari croniche e cancro ai polmoni. Le linee guida dell’Oms indicano che le concentrazioni medie annuali di PM2,5 dovrebbero essere inferiori a 10 microgrammi per metro cubo, ma la stragrande maggioranza della popolazione mondiale vive in aree che superano questo limite. I ricercatori stimano che un aumento di 10 μg / m³ di PM2,5 accorci la durata della vita di circa un anno, rispetto ai sette mesi del PM10. Secondo l’AQLI, anche nei paesi occidentali l’aumento dei livelli di concentrazione di PM2,5 sta riducendo la durata della vita, per esempio a New York di un mese e a Los Angeles di otto mesi. Anche in questo caso, agire sulle cause è possibile: in inverno, si può regolare la temperatura di casa sui 20°C, che già corrispondono a un clima confortevole: un solo grado in più fa salire i consumi di circa il 7% annuo. È importante anche vestirsi nel modo giusto: invece di stare a casa in t-shirt, mettere un bel maglione in più significa un bel grado in meno di riscaldamento.

Mobilità

Per i trasporti, nei brevi tragitti meglio andare a piedi o in bicicletta. È un’abitudine sana e poco costosa. Nella cerchia urbana, fino a 5 chilometri, la bicicletta è in assoluto il mezzo più veloce per arrivare a destinazione. Secondo uno studio 2014- 2015 del Ministero della Salute-Asl-Iss, in Italia un 15,2% della popolazione di 18-69 anni fa uso abituale della bicicletta, consentendo un risparmio di 1.460.000 tonnellate di CO2 in un anno. Andando al lavoro ogni giorno in bici, per esempio, si evitano ogni anno 250 kg di CO2. Se proprio non si vuole rinunciare all’auto, è fondamentale scegliere la tipologia giusta, perché tra l’ibrida con le minori emissioni di CO2 in commercio in Italia e il veicolo più inquinante e con le maggiori emissioni c’è una differenza di 7 volte. L’auto elettrica è un’ottima scelta per eliminare l’inquinamento dei trasporti. Ma, per non tornare al punto di partenza, è necessario che il pieno sia di energia pulita, ovvero che, a casa, si ricarichino le batterie con elettricità proveniente da sole fonti rinnovabili. Altrimenti le emissioni di CO2 di un’auto elettrica potrebbero essere paragonabili a quelle delle migliori utilitarie a benzina. Se invece l’elettricità con cui si ricaricano le batterie provenisse tutta da solare, eolico e idroelettrico, avremmo una riduzione del 95% della CO2. Se per magia tutte le auto e i camion oggi circolanti in Italia fossero elettrici e caricati con energie rinnovabili, il taglio di CO2 sarebbe superiore ai 100 milioni di tonnellate di gas serra all’anno in meno in Italia.