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A cura della dott.ssa Irma Scarafino – Per cefalea (sebbene sia più corretto il termine cefalalgia) si intende comunemente una sindrome dolorosa localizzata al capo che si stima interessi oltre il 50% della popolazione europea. Le cafalee si distinguono innanzitutto in primarie, ovvero spontanee e generalmente benigne, e secondarie, spie di condizioni patologiche spesso importanti. Tra le cefalee primarie annoveriamo l’emicrania, la cefalea di tipo tensivo, la cefalea a grappolo ed altre cefalalgie autonomico-trigeminali, cefalee di origine varia (esercizio fisico, legata al coito, ipnica…). Tra le cefalee secondarie ricordiamo le cefalee legate a trauma cranico e/o cervicale, a disturbi intra ed extra cranici vascolari e non, a uso di sostanze o loro sospensione, ad infezioni, a disturbi delle strutture ossee del massiccio facciale, a disturbi psichiatrici, ecc.

Nella forma emicranica sono le donne ad essere particolarmente colpite, mentre la cefalea a grappolo interessa quasi esclusivamente il sesso maschile con un rapporto uomo/donna di 3 a 1. La conoscenza dei fattori scatenanti, delle caratteristiche, della frequenza, della relazione delle proprie crisi cefalalgiche con determinati eventi è fondamentale per poter calibrare l’approccio terapeutico e centrare quindi l’obiettivo di ridurre intensità e numero di cefalee.

Il primo consiglio è quello di tenere un diario delle cefalee in modo da orientare il medico nella diagnosi e nella terapia. Un grande aiuto viene dagli analgesici come il Paracetamolo (talora coniugato con la Caffeina) oppure dall’ampia classe degli antinfiammatori FANS (Ibuprofene, Ketoprofene, Naprossene, ecc.) che, interferendo con la produzione delle molecole chimiche che “trasmettono” la sensazione del dolore, ci liberano dalla cefalea. In caso di emicrania invece, gli specialisti consigliano la classe dei Triptani, farmaci più specifici per il dolore emicranico con un meccanismo d’azione peculiare e differente.

È fondamentale evitare il fai-da-te: ricorrere ad antinfiammatori in autonomia apre la strada a un uso scorretto di questi fondamentali presidi farmacologici.

Bisogna, invece, rivolgersi al proprio medico di fiducia per avviare un appropriato percorso di approfondimento diagnostico e terapeutico.