A cura della dott.ssa Chiara Contini, psicologa e psicoterapeuta – Con il termine “sindrome da burnout” si fa riferimento ad una condizione di forte disagio psicofisico ed emotivo che si riscontra nelle professioni di aiuto, specialmente in ambito socio-sanitario. Lo stress si verifica nel momento in cui il coinvolgimento emotivo è molto forte e perdura per periodi di tempo prolungati. La sindrome da burnout colpisce soprattutto figure quali medici, infermieri, psicologi, assistenti sociali, educatori professionali. Fra le categorie a rischio è possibile far rientrare anche i caregiver familiari, ovvero quei soggetti che si occupano costantemente di persone anziane o membri della famiglia colpiti da grave disabilità e che necessitano di continua assistenza. Il contatto costante con le persone e con le loro esigenze, l’essere a disposizione delle molteplici richieste e necessità, sono alcune delle caratteristiche comuni a Burnout o “esaurimento professionale” tutte quelle attività di presa in carico, sia che si tratti di professioni di aiuto che di sostegno ad un membro della propria famiglia.

Quali sintomi presenta?

In linea generale, il burnout comporta un logorio psicofisico ed un esaurimento emotivo con vissuti di demotivazione, delusione e disinteresse con evidenti ripercussioni non soltanto a livello lavorativo ma anche sociale e personale. Questa condizione di disagio comporta una compromissione della qualità di vita del soggetto, con vissuti di grave malessere che possono portare anche all’abuso di alcool e altre sostanze psicoattive. Nello specifico, i sintomi presentati sono molteplici e rientrano nello spettro ansioso-depressivo. Il soggetto manifesta sia sintomi aspecifici come stanchezza ed esaurimento fisico, apatia, nervosismo, irrequietezza e insonnia che vari sintomi psicologici e relazionali quali rabbia, risentimento, aggressività, alta resistenza ad andare al lavoro, negativismo, depressione, bassa stima di sé, senso di colpa, sensazione di fallimento, isolamento, difficoltà nelle relazioni con utenti e colleghi, atteggiamento colpevolizzante nei confronti degli utenti e critico nei confronti dei colleghi. Il soggetto può anche sviluppare veri e propri sintomi ascrivibili alla sfera psicosomatica come cefalea, disturbi gastrointestinali, manifestazioni cutanee, ulcera e difficoltà sessuali.

Quali fattori possono sviluppare la sindrome?

Sono numerosi i fattori di rischio che possono portare all’insorgenza del disturbo, tutti strettamente correlati sia a situazioni ambientali e relazionali che alle caratteristiche personali del soggetto. Tra i fattori di ordine ambientale possiamo ritrovare un’eccessiva mole di lavoro, richieste pressanti ed inadeguate al ruolo ricoperto, insufficiente gratificazione lavorativa, scarsa retribuzione, ambiente di lavoro sfavorevole. I fattori relazionali riguardano soprattutto il rapporto con i colleghi e tra gli elementi di rischio è possibile ritrovare alta conflittualità, competizione, assenza di supporto lavorativo. Non di minore importanza risultano infine aspetti sociali e psicologici del soggetto quali il background culturale, il livello socio-economico di provenienza, la situazione familiare, le aspettative professionali, la tolleranza alla frustrazione e ad alti livelli di stress ed altre peculiarità caratteriali che possono concorrere alla comparsa dei sintomi.

Prevenire e curare il burnout

Per quanto riguarda gli aspetti di prevenzione e cura, risultano necessarie strategie di intervento che prevedano azioni rivolte sia alla persona che all’ambiente lavorativo. A livello di contesto lavorativo, sarebbe opportuno valutare la pianificazione del lavoro e migliorare le relazioni che intercorrono fra le figure. A livello individuale, l’aiuto maggiormente efficace risulta. l’intervento da parte di un professionista competente in materia. Un approccio psicoterapico può favorire una maggiore comprensione e consapevolezza del problema, aiutare il paziente a comprendere le relazioni esistenti tra il proprio comportamento, il proprio vissuto ed il contesto di vita e lavorativo, permettendogli di modificare le strategie e gli atteggiamenti messi in atto fino a quel momento. Con l’aiuto del clinico, può imparare a porsi obiettivi maggiormente realistici, prevenire un eccessivo coinvolgimento emotivo ed imparare a prendersi degli spazi personali. Fra gli aspetti che possono prevenire questo tipo di disagio, è presente la necessità di prendersi dei momenti di svago e rilassamento, lontano dal contesto lavorativo. Si riscontra infatti spesso il bisogno di “staccare”, di evadere dalla routine quotidiana e ricaricare le energie. Una soluzione, che insieme ad altre strategie può abbassare il rischio di sviluppare una vera e propria sindrome, potrebbe essere quella di organizzare brevi viaggi o anche semplici weekend fuori porta, quando si avverte che il livello di stress sta velocemente aumentando. Solitamente, si vive un maggior affaticamento quando si è vicini alla pausa estiva; potrebbe essere proprio questo il momento adeguato per prendersi una piccola pausa, anche di pochi giorni, in cui poter ricaricare le pile con una breve vacanza per allentare la tensione e ritrovare una maggiore serenità per affrontare non soltanto il lavoro ma anche la vita privata.