A cura del Dott. Augusto Zaninelli – Sono tre gli ambiti di competenza in cui si lavorerà per la prevenzione cardiovascolare nei prossimi 10 anni.
Controllo dei fattori di rischio consolidati ed emergenti
In questo ambito, il punto fondamentale è la considerazione del colesterolo LDL come unico elemento di importanza strategica per la definizione del rischio legato a questo fattore. Una riduzione del colesterolo LDL è determinante sia nei pazienti in prevenzione secondaria (che hanno già avuto un infarto o un ictus cerebrale ischemico), sia nei soggetti ad alto e moderato rischio in prevenzione primaria (soggetti apparentemente sani). Il calcolo del colesterolo LDL, infatti, tiene conto anche del valore dei trigliceridi, sempre più considerato come fattore emergente di rischio cardiovascolare, ormai da osservare con interesse al di sopra dei 150 mg%. In prevenzione secondaria, poi, appare sempre di più imperativo l’abbassamento del colesterolo LDL al di sotto dei 70 mg%, e diversi studi hanno ormai dimostrato come la riduzione attorno anche ai 30-50 mg% di questo valore porti soltanto benefici in termini di sopravvivenza e di qualità della vita. In sintonia con le linee guida per il trattamento dell’ipertensione arteriosa, anche per la dislipidemia gli schemi optano, laddove vi sia necessità di trattamenti intensivi, per le combinazioni fisse fra farmaci, in quanto gli aspetti legati all’aderenza e persistenza dei pazienti in terapia vengono ormai sempre più rimarcati come decisivi per una adeguata efficacia dei trattamenti stessi. Anche il diabete nei prossimi 10 anni offrirà un’ampia scelta di farmaci da usare in combinazione e usciranno anche qui diverse associazioni precostituite.
Studio della genetica per l’individuazione di soggetti predisposti a sviluppare un infarto
Gli aspetti riguardanti la genetica medica saranno altrettanto determinanti, per personalizzare nel modo più estremo gli approcci alla prevenzione, fino alla realizzazione della cosiddetta medicina di precisione. Questi concetti in apparenza sembrano in contraddizione con quanto detto prima a proposito dei trattamenti per il controllo dei fattori di rischio, in quanto le affermazioni fatte precedentemente sembrano più applicabili alla popolazione generale. In realtà le due opzioni possono lavorare in modo molto sinergico, in quanto, una volta definiti all’interno di un gruppo con uguali fattori di rischio, in uguali caratteristiche generali grazie alle analisi del DNA e ai vari marcatori genetici, coloro che all’interno della stessa categoria hanno invece una predisposizione genetica in grado di sviluppare maggiormente un infarto miocardico rispetto ad altri soggetti simili, è evidente che su di loro si possono mettere in atto le manovre preventive farmacologiche e non farmacologiche, in modo più intensivo ed adeguato, aumentando anche la frequenza dei controlli clinici.
Creazione di un vaccino contro l’infarto del miocardio
In realtà questo concetto si aggancia sempre alla considerazione del colesterolo LDL come fattore di rischio principale per lo sviluppo della coronaropatia aterosclerotica, com’è noto elemento principale alla base della genesi dell’infarto del miocardio. Gli esperti ritengono che la creazione di anticorpi monoclonali sempre più raffinati verso il blocco delle catene enzimatiche che producono il colesterolo LDL sia una delle chiavi di lettura interpretativa per i prossimi anni in tema di prevenzione. Per questo un possibile “vaccino” per l’infarto potrebbe essere la somministrazione con un’iniezione sottocutanea, una volta l’anno, di questi anticorpi monoclonali in soggetti sani a partire dai trent’anni di età in su per poter far sì che tutte le persone abbiano un colesterolo LDL al di sotto di 70 mg% e, in tal modo, prevenire definitivamente la malattia aterosclerotica.