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La cardiopatia ischemica è, nella mentalità comune, una patologia per lo più maschile. In realtà in Italia, come nel resto del mondo, essa rappresenta la prima causa di morte anche per le donne, con un’incidenza che aumenta dopo i 65 anni. Tuttavia, molti sono gli aspetti peculiari della coronaropatia nel sesso femminile che occorre conoscere e sui quali è doveroso fare un’importante opera di divulgazione scientifica e educazione sanitaria.

La medicina di genere (MdG) o, meglio, la medicina genere-specifica, è definita dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) come “lo studio dell’influenza delle differenze biologiche (definite dal sesso) e socioeconomiche e culturali (definite dal genere) sullo stato di salute e di malattia di ogni persona”. Essa rappresenta una branca della medicina interdisciplinare e trasversale, e coinvolge tutte le specialistiche medico-chirurgiche con l’obiettivo di implementare la personalizzazione della medicina e l’equità delle cure. La MdG è nata all’inizio degli anni ’90 da una Cardiologa, la Dottoressa Bernardine Healy, allora direttrice dell’Istituto Nazionale di Salute Pubblica statunitense, la quale evidenziò l’imparità delle cure tra uomini e donne nella cardiopatia ischemica (CI). La CI è una patologia cardiaca dovuta all’incapacità delle coronarie di apportare un quantitativo adeguato di sangue e ossigeno al muscolo miocardico. Quando si pensa ad essa, si pensa ad una stenosi emodinamicamente significativa del vaso legata alla presenza di una placca aterosclerotica o ad un trombo.

I fattori di rischio, la clinica e le terapie di questo quadro sono ormai ben noti e hanno permesso di abbattere significativamente la mortalità per infarto miocardico acuto negli ultimi decenni. Tuttavia, il progredire delle conoscenze ha via via dimostrato che dentro al grande capitolo della CI sono inclusi molti e differenti paragrafi. Questo è ancora più vero nel sesso femminile, dove fattori di rischio, clinica ed eziopatogenesi diversi, spesso definiti come “atipici”, rendono mandatorio un ampliamento delle conoscenze che impedisca sottostima, sottodiagnosi e sottotrattamento. Partiamo caratterizzando il profilo di rischio cardiovascolare. Abitualmente, l’anamnesi patologica del paziente cardiopatico, sia esso uomo o donna, inizia indagando la presenza di abitudine al fumo, dislipidemia, ipertensione arteriosa, diabete mellito, sovrappeso/obesità, sedentarietà, familiarità. I medici più attenti indagheranno la coesistenza di sindrome delle apnee notturne, depressione, insufficienza renale cronica, broncopneumopatia cronica o l’esposizione ad aria particolarmente inquinata. Ma pochissimi indagheranno i fattori di rischio sesso e genere specifici, anche se ormai il loro ruolo nella patogenesi e nella prognosi della coronaropatia è acclarato. Per fattori di rischio sesso-specifici ci si riferisce per lo più a quelli correlati alla sfera ormonale: il menarca precoce (ovvero prima degli 8 anni), la menopausa precoce (cioè la scomparsa permanente delle mestruazioni prima dei 40 anni di età) e tutto il quadro di stati patologici correlati alla gravidanza. La gravidanza rappresenta di fatto un test da sforzo prolungato e molto intenso per la donna e quindi un banco di prova per il suo sistema cardiovascolare e metabolico.

I dati sul valore prognostico dei disturbi ipertensivi della gravidanza, del diabete gestazionale, del parto prematuro, della multiabortività, sono ormai solidi. Una donna che ha un’ipertensione in gravidanza ha un rischio di CI 3 volte maggiore; il diabete gestazionale non solo predispone allo sviluppo di diabete mellito di tipo 2, ma aumenta il rischio di infarto miocardico del 59%. Anche le malattie autoimmuni e infiammatorie, assai più prevalenti nella donna, sono associate ad un maggior rischio cardiovascolare: si pensi che l’artrite reumatoide incrementa il rischio di CI alla stregua del diabete mellito. E poi ci sono le pillole contraccettive, la terapia ormonale sostitutiva somministrata in modi e tempi non corretti, la chemio e radioterapia per il tumore alla mammella. Tutte queste condizioni hanno un ruolo patogenetico e prognostico fondamentale, ma di rado sono indagati nella pratica clinica. Infine, ci sono i fattori di rischio genere-specifici, cioè quelli che vengono attribuiti alla donna a causa del contesto sociale, culturale ed economico in cui vive: la violenza e gli abusi, la deprivazione economica, il basso livello di educazione sanitaria, i disturbi della sfera psicoaffettiva, sono tutti per lo più erroneamente ignorati dai medici. Per quanto riguarda l’eziopatogenesi, nel sesso femminile la CI può differire a seconda dell’età e della fase della vita in cui si manifesta. Donne giovani, ancora in età fertile o in perimenopausa, hanno per lo più una eziopatogenesi non aterosclerotica dell’infarto del miocardio: in queste fasce di età angina microvascolare, dissezione spontanea acuta di coronaria, vasospasmo sono tra le più frequenti condizioni sottostanti la sindrome coronarica acuta e si associano ad un quadro di ischemia o infarto con coronaropatia non ostruttiva (acronimi inglesi INOCA o MINOCA, Ischemia or Myocardial Infarction with Non Obstructive Coronary Artery disease). Dopo la menopausa, quando la donna perde il vantaggio dovuto all’effetto cardioprotettivo degli ormoni estroprogestinici, l’eziopatogenesi tra maschi e femmine diventa simile, e l’aterosclerosi diventa la prima causa di sindrome coronarica acuta. In questa fascia d’età diventa molto presente anche la sindrome di Tako-stubo, nota anche come cardiomiopatia da stress. Per quanto riguarda la clinica, occorre ricordare che i sintomi atipici (ad esempio nausea e vomito, capogiri, sudorazioni fredde) sono frequenti nella donna, e possono ritardare diagnosi e trattamento della CI in acuto, giustificando così il noto incremento di mortalità e complicanze che l’infarto miocardico acuto ha purtroppo ancora oggi nel sesso femminile rispetto a quello maschile. Anche le terapie per la cardiopatia ischemica acuta e cronica, per lo più validate su uomini, hanno effetti, farmacodinamica e farmacocinetica differente tra i due sessi, e occorre conoscere tali peculiarità al fine di effettuare una reale terapia medica ottimale.

TAKE HOME MESSAGE
Incrementare la conoscenza del personale sanitario e la consapevolezza della donna rispetto alla cardiopatia ischemica, dai suoi fattori predisponenti peculiari ai quadri clinici, può aiutare a migliorare la sopravvivenza e la qualità di vita delle pazienti. La medicina moderna non può più ignorare le differenze di sesso e genere, sia in ambito di ricerca, che in ambito clinico. L’Istituto Superiore di Sanità nel 2018 ha varato un Piano per l’applicazione e la diffusione della Medicina di Genere, istituendo un gruppo di studio che comprende rappresentanti di molte Società scientifiche italiane sia generaliste che di settore. Tra queste anche la Italian Alliance for cardiovascular Rehabilitation and Prevention (ITACARE-P), che si sta impegnando per implementare conoscenze e sensibilità in particolare nel campo della Prevenzione e Riabilitazione cardiovascolare.