INTRODUZIONE
Nelle ultime decadi, l’angiografia coronarica con tomografia computerizzata (CCTA) si è imposta come promettente strumento di imaging non invasivo per diagnosticare la malattia delle arterie coronarie (CAD), successivamente ampliando il suo utilizzo anche alla stratificazione del rischio cardiovascolare, la pianificazione degli interventi su CAD o cardiopatia valvolare e l’indicazione di strategie terapeutiche preventive. Tuttavia, l’incorretta applicazione nella pratica clinica – in conformità con le indicazioni delle attuali linee guida europee per la gestione della sindrome coronarica cronica[1] – ha comportato un utilizzo sovradimensionato dell’angiografia coronarica invasiva (ICA), una sottostima diagnostica dei pazienti ad alto rischio e un utilizzo di svariati test nello stesso paziente prima di giungere ad una valutazione definitiva[2].
In letteratura l’impiego della CCTA ha raccolto dimostrazioni di appropriatezza sia nella gestione di differenti quadri clinici sia nell’ausilio della valutazione anatomica/funzionale della CAD, data la crescente evidenza che, non solo la malattia coronarica ostruttiva, ma anche quella non-ostruttiva sia associata ad un maggiore rischio cardiovascolare[3]. La CCTA ha dimostrato un ruolo in ambito diagnostico per pazienti con probabilità pretest bassa/intermedia di CAD, sia che abbiano sintomi anginosi o importanti fattori di rischio (quale il diabete) o nuove diagnosi di insufficienza cardiaca[1]. Oltre all’iniziale workup per l’insufficienza cardiaca, la CCTA assume un ruolo diagnostico anche nel momento in cui molti di questi i pazienti richiederanno terapie interventistiche come la sostituzione/riparazione valvolare, la chiusura percutanea dell’auricola e procedure elettrofisiologiche, per cui risultano fondamentali dati anatomici per valutare efficacia e rischi pre-procedurali[4]. Il suo impiego è stato testato anche in altri scenari clinici: nella sindrome coronarica acuta senza sopraslivellamento del segmento ST, per la quale consente di ridurre il tempo alla diagnosi mantenendo un elevato valore predittivo negativo e positivo (91% e 88%, rispettivamente)[5]; nella valutazione di risposta alla terapia preventiva con statina in nota CAD[6]; nel soggetto asintomatico con episodi di fibrillazione atriale parossistica o persistente, data la nota associazione di fibrillazione atriale con CAD ostruttiva[7]. La CCTA ha dimostrato accuratezza nella definizione dell’estensione e caratterizzazione della placca. A tale riguardo, è possibile identificare i pazienti a rischio di “rottura della placca”. In tal senso, lo score di calcio coronarico non è dirimente, sebbene abbia un ruolo prognostico additivo ai tradizionali fattori di rischio cardiovascolare in soggetti asintomatici senza CAD; esso, infatti, non correla con l’entità della stenosi coronarica, non intercetta la CAD in stadi iniziali e non consente di valutare l’efficacia terapeutica della statina (che, a sua volta, favorisce la stabilizzazione di placca riducendone il contenuto lipidico e aumentandone quello di calcio)[3,8]. Diversamente, altri parametri derivanti dalla CCTA aiutano il clinico a intercettare la placca instabile: la bassa attenuazione alla valutazione mediante unità di Hounsfield (HU), il rimodellamento positivo, la calcificazione puntiforme e il segno del “napkin ring”[3]. In ordine, la bassa attenuazione identifica la presenza di un grosso nucleo necrotico (uno dei tratti distintivi delle placche vulnerabili), Il rimodellamento positivo è l’espansione della membrana elastica esterna come compensazione del carico aterosclerotico, il segno del “napkin ring” è indice di pre-rottura ed emorragia all’interno della placca[3]. La quantificazione mediante HU consente di distinguere le placche calcifiche ad alto HU, caratterizzate da tassi elevati di eventi avversi dopo intervento di rivascolarizzazione coronarica percutanea (PCI), dalle placche non calcifiche (HU <50) che hanno dimostrato di essere predittori indipendenti di sindromi coronariche acute, infarto miocardico peri-procedurale e no-reflow[9]. Infine, un altro parametro da considerare è la valutazione del tessuto adiposo perivascolare – indicatore dinamico di infiammazione coronarica – che consente di monitorare la risposta terapeutica di rimodellamento di placca con statine[3].
La combinazione delle caratteristiche delle placche ad alto rischio, confrontate con la gravità della stenosi, massimizza il valore prognostico delle informazioni derivate dalla CCTA. Questo risulta particolarmente valido non solo nei giovani ma anche per le donne[10], in quanto quest’ultime presentano prevalentemente un quadro di CAD non-ostruttiva, un volume della placca inferiore e calcificazioni modeste a fronte di un rilevamento più pronunciato di ischemia. La CCTA è importante nella progettazione dell’intervento coronarico, fornendo dati complementari alla ICA convenzionale[9,11]: identifica la migliore proiezione angiografica nel laboratorio di emodinamica (per le lesioni all’ostio/biforcazione) nonché può indirizzare verso la migliore strategia di rivascolarizzazione (bypass aorto-coronarico versus PCI); fornisce una valutazione tridimensionale della placca; stima la dimensione endoluminale per la scelta dimensionale dello stent e del successo procedurale di PCI su una occlusione coronarica cronica; identifica le lesioni coronariche che richiedono tecniche aggiuntive (e.g. aterectomia). Oltre alla valutazione anatomica, la CCTA può fornire una valutazione funzionale della placca applicando la tecnica della riserva frazionale di flusso, che incrementa notevolmente l’accuratezza e il valore predittivo negativo della CCTA, soprattutto in caso di stenosi coronariche intermedie[11]. Ci sono alcune limitazioni all’uso della CCTA: l’esposizione radiologica non è trascurabile, sebbene sia stata ridotta nel corso dell’ultimo decennio; la presenza di severa insufficienza renale dato l’uso di mezzo di contrasto a base di iodio; la severa obesità o altre condizioni con ridotta qualità delle immagini; la ridotta sensibilità data da elevata frequenza cardiaca o ritmo irregolare, sebbene si siano apportati miglioramenti[4,7].
CONCLUSIONI
La combinazione di dati anatomici, morfologici e funzionali ottenibili dalla CCTA fornisce da un lato la possibilità di ottenere informazioni diagnostiche/ prognostiche con una sola metodica non invasiva, dall’altro impone una riflessione sui costi e sulla necessità di incorporarne l’uso in appropriati percorsi clinici, nonché la convalida su larga scala dei dati sperimentali.
Abbreviazioni
CAD: malattia delle arterie coronarie;
CCTA: angiografia coronarica con tomografia computerizzata;
HU: unità di Hounsfield;
ICA: angiografia coronarica invasiva;
PCI: intervento coronarico percutaneo.
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