La malattia di Lyme è, come noto, un’affezione eziologicamente da ricondurre essenzialmente a un batterio (spirocheta) appartenente al complesso Borrelia burgdorferi, che viene trasmesso all’uomo tramite il morso da parte di una zecca che lo alberga.
Le zecche sono ubiquitarie, vivono generalmente in aree erbose e boschive, giardini pubblici e parchi; le loro punture però non sempre sono visibili, per cui il dato anamnestico a volte può mancare, e non in tutti casi trasmettono necessariamente la malattia di Lyme. La malattia può determinare uno scenario di diversi problemi clinici: da una semplice eruzione cutanea fino a una compromissione anche seria di alcuni organi, artriti, problemi neurologici e cardiologici. Quasi sempre è al MMG che spetta il compito di porre diagnosi e decidere per la terapia nei pazienti con solo lesioni cutanee e/o sintomi aspecifici, ma può accadere che arrivino alla sua osservazione anche soggetti con sintomi più severi. Laddove presente, l’eritema migrante è diagnostico. Si tratta di una lesione cutanea rossa che aumenta di dimensioni e può a volte avere un’area centrale più chiara, generalmente non determina prurito, calore o dolore, solitamente diventa visibile da 1 a 4 settimane (ma può comparire da 3 giorni fino a 3 mesi) dopo il morso della zecca che perdura per diverse settimane, di solito si localizza in corrispondenza del morso di zecca. Dopo un morso di zecca, però, si può sviluppare un’eruzione cutanea che non è eritema migrante, e che generalmente si sviluppa e si risolve entro 48 ore dal morso, diversamente dall’eritema migrante provoca prurito, calore e dolore; in questi casi può essere causato da una reazione infiammatoria o un’infezione provocata da un comune patogeno della pelle.
È sempre bene considerare la diagnosi di Borreliosi di Lyme in persone che presentano una variabile combinazione di febbre e sudorazione, adenomegalia, malessere, astenia, dolori al collo o rigidità, artralgie e/o mialgie migranti, disturbi cognitivi quali amnesie e difficoltà di concentrazione (spesso descritti come “mente annebbiata”), cefalea, parestesia, sintomi neurologici quali paralisi facciale o altre paralisi del nervo cranico, meningiti, neurite multipla o altre radicolopatie inspiegate o, raramente, encefaliti, presentazioni neuropsichiatriche, o modifiche inspiegate nella sostanza bianca all’imaging cerebrale, artriti infiammatorie ad una o più articolazioni (che possono essere fluttuanti e migranti), patologie cardiache quali arresto cardiaco o pericardite, sintomi oftalmici come uveite o cheratite, e manifestazioni cutanee quali acrodermatite cronica atrofica o linfocitoma. Per quanto riguarda il supporto diagnostico del laboratorio, deve essere ben chiaro come questo debba essere unicamente di aiuto e integrazione alla clinica, laddove vi siano dubbi diagnostici, ma non debba mai sostituirsi ad essa, soprattutto per la sensibilità e specificità non assoluta dei principali test attualmente a nostra disposizione. Per confermare la diagnosi clinica, laddove si renda necessario, di Borreliosi di Lyme i test più comuni sono quelli sierologici, che ricercano la presenza degli anticorpi contro la spirocheta. Come prima linea deve essere effettuato un test ad elevata sensibilità (ELISA) che, laddove positivo o dubbio, deve essere integrato con un test ad elevata specificità (immunoblot). Come abbiamo già avuto modo di sottolineare, solamente se adeguatamente integrati con i dati clinici, i risultati dei test di laboratorio possono essere di aiuto a supportare la diagnosi di Borreliosi di Lyme. Una volta posta diagnosi, è mandatorio posizionare una terapia antibiotica.
Se al termine del periodo di trattamento eseguito correttamente la sintomatologia clinica in qualche misura persiste e i disturbi sono ancora presenti, non migliorano, o addirittura peggiorano, come prima azione è necessario rivalutare la storia e i sintomi del paziente, indagando possibili cause alternative dei sintomi, una possibile re-infezione, un possibile fallimento terapeutico, i dettagli del trattamento precedente, tra cui se il ciclo di antibiotici è stato completato senza interruzioni, e un’eventuale origine dei sintomi a possibili danni d’organo, come ad esempio la paralisi di uno o più nervi. Se indicato, occorre a quel punto considerare un secondo ciclo di antibiotici, con l’accortezza di prescrivere un farmaco diverso da quello somministrato nel primo ciclo. Se i sintomi persistono ancora dopo due cicli completi di antibiotico non è raccomandato prescrivere di routine ulteriori cicli di antibiotico, ma considerare invece un confronto con il laboratorio di riferimento o un consulto specialistico (infettivologo, reumatologo, neurologo) in relazione ai sintomi preminenti presentati in quel momento dal soggetto.