L’endocardite infettiva (EI) è una patologia fatale che, nonostante i progressi compiuti in ambito diagnostico e terapeutico, è ancora oggi gravata da una mortalità elevata e da gravi complicanze. E’ importante, pertanto, ricordare quali siano i soggetti maggiormente a rischio, come comportarsi in caso di procedure odontoiatriche, e come svelarne l’eventuale presenza precocemente.
L’EI, va detto, può colpire praticamente chiunque, e in qualsiasi momento, ma sappiamo comunque che i pazienti che presentano un rischio più alto sono soprattutto:
1. pazienti con protesi valvolari o con difetti valvolari riparati con materiale protesico: questi pazienti presentano un rischio più alto di EI, una mortalità più elevata da EI e sviluppano complicanze della malattia con una frequenza superiore rispetto ai pazienti con valvole native infettati dallo stesso agente patogeno. La stessa osservazione si applica anche alle protesi valvolari impiantate per via transcatetere e agli homograft;
2. pazienti con pregressa EI: anche questa categoria presenta un rischio più alto di reinfezione, una mortalità e un’incidenza di complicanze più elevate rispetto ai pazienti con un primo episodio di EI;
3. pazienti con cardiopatie congenite (congenital heart disease, CHD) cianogene non trattate e quelli con CHD con shunt palliativi postoperatori, condotti o altri tipi di protesi. Dopo correzione chirurgica senza difetti residui, è raccomandata la profilassi per i primi 6 mesi post-intervento fino alla completa endotelizzazione del materiale protesico.
Come comportarsi in caso di procedure odontoiatriche?
Quelle considerate a rischio sono quelle che comportano la manipolazione del tessuto gengivale o della regione peri-apicale dei denti e la perforazione della mucosa orale (compresi l’ablazione del tartaro e le cure canalari). L’impianto di protesi dentarie è fonte di preoccupazione per il potenziale rischio connesso alla presenza di materiale esogeno a livello dell’interfaccia tra cavità orale e flusso sanguigno. Sono disponibili solamente pochissimi dati e attualmente si ritiene che non vi siano evidenze per controindicare l’impianto di protesi dentarie in tutti i pazienti a rischio, ma l’indicazione deve essere discussa su base individuale. Il paziente deve essere informato delle incertezze e della necessità di uno stretto follow-up. La profilassi antibiotica deve essere presa in considerazione unicamente nei pazienti a rischio più alto di EI, sottoposti alle procedure odontoiatriche a rischio già specificate, mentre non è raccomandata in tutti gli altri casi. In questi pazienti la terapia antibiotica mira fondamentalmente a prevenire l’infezione da streptococchi che risiedono nel cavo orale. I principali schemi di profilassi antibiotica raccomandati prima di una procedura odontoiatrica comprendono Amoxicillina o Ampicillina 2 grammi, o Clindamicina 600 mg nei casi di allergia ai betalattamici, in tutti i casi va eseguita una monosomministrazione 30-60 minuti prima della procedura odontoiatrica. In considerazione della loro dubbia efficacia e della possibile induzione di resistenza, non è raccomandato invece l’impiego di fluorochinoloni e glicopeptidi. Le cefalosporine non devono essere utilizzate nei pazienti con anafilassi, angioedema od orticaria successivi all’assunzione di penicillina e ampicillina a causa di possibili fenomeni di reattività crociata.
Come riconoscere precocemente una eventuale presenza di una EI?
La natura eterogenea e le variazioni del profilo epidemiologico dell’EI fanno sì che la diagnosi risulti spesso difficile. La storia clinica dell’EI, infatti, è molto variabile a seconda dell’agente patogeno causale, della presenza/assenza di preesistenti patologie cardiache o di protesi valvolari e dispositivi cardiaci, e della modalità di presentazione. Di conseguenza, il sospetto diagnostico di EI deve essere posto in molteplici situazioni cliniche estremamente differenti tra di loro. L’EI può avere un andamento acuto o rapidamente progressivo, ma può anche presentarsi in forma subacuta o cronica, con febbricola e sintomi aspecifici, fuorviando e confondendo così la valutazione iniziale. I pazienti rischiano quindi di “perdere tempo” rivolgendosi a diversi specialisti che possono prendere in considerazione un ampio spettro di diagnosi alternative come le infezioni croniche, le patologie reumatiche, immunologiche o neoplastiche. Al fine di orientare il trattamento è fortemente raccomandato di coinvolgere sempre tempestivamente un cardiologo e un infettivologo. Il 90% dei pazienti solitamente manifesta febbre spesso associata a sintomi sistemici quali brividi, scarso appetito e calo ponderale. La presenza di soffio cardiaco viene riscontrata nell’85% dei casi, mentre il 25% esordisce clinicamente con complicanze emboliche. Pertanto, la diagnosi di EI deve essere sospettata in ogni paziente che presenti febbre e fenomeni embolici. I classici segni sono sempre più rari: ciò nonostante, fenomeni vascolari ed immunologici, quali le emorragie a scheggia, le macchie di Roth e la glomerulonefrite, sono ancora frequenti, così come le embolie cerebrali, polmonari o spleniche (come già detto) si verificano nel 30% dei pazienti, e costituiscono spesso la tipica forma di presentazione. Nel paziente con sintomatologia febbrile, l’iniziale sospetto diagnostico può essere avvalorato dagli indici laboratoristici di infezione, ad esempio in seguito al riscontro di elevati livelli di proteina C-reattiva, elevata velocità di eritrosedimentazione, leucocitosi, anemia o microematuria. Tuttavia, mancando di specificità, questi indici non vengono inglobati negli attuali criteri diagnostici. Nel paziente anziano o immunocompromesso l’EI ha spesso un esordio atipico, meno frequentemente accompagnato da uno stato febbrile rispetto a quanto avviene nei soggetti più giovani. In questi pazienti, così come in altre categorie ad alto rischio come i pazienti affetti da CHD o portatori di protesi valvolare, sono quindi essenziali un alto indice di sospetto insieme ad una bassa soglia per effettuare le opportune indagini atte ad escludere la presenza di EI o ad evitare un ritardo diagnostico.
Criteri che dovrebbero far sospettare l’EI:
• Sospetto clinico elevato
(indicazione urgente all’esame ecocardiografico e ad un eventuale ricovero ospedaliero)
• Nuova lesione valvolare/soffio di rigurgito
• Eventi embolici a genesi sconosciuta
• Sepsi di origine sconosciuta
• Ematuria, glomerulonefrite e sospetto di infarti renali
• Febbre più:
› Materiale protesico nelle cavità cardiache
› Altri fattori predisponenti l’EI
› Aritmie ventricolari o disturbi della conduzione di nuova insorgenza
› Iniziali manifiestazioni di CHF
› Emocolture positive (se il microrganismo è tipico di NVE/PVE)
› Manifestazioni cutanee (Osler, Janeway) od oculari (Roth)
› lnfiltrati polmonari multifocali/rapidamente migranti (EI del cuore destro)
› Ascessi periferici (renali, splenici, spinali) ad origine sconosciuta
› Predisposizione e recenti interventi diagnostici/terapeutici in grado di dare una significativa batteriemia
• Basso sospetto clinico
• Febbre senza i fattori sopra elencati