Sono stato colpito dalla storia di Anna O riferita da Joseph Bauer (1) perché essa rappresenta un esempio efficace del tipo di prestazione che viene richiesta al medico internista al tempo attuale.
Questa giovane donna accusò dei sintomi insoliti nel periodo durante il quale accudiva il proprio padre ammalato. Lei manifestò una paralisi, forti cefalee, sordità intermittente, disturbi visivi e cambiamenti di umore. I sintomi si presentavano insieme o s’inseguivano in serie con differente modalità di presentazione. Il quadro rischia di far perdere la testa a qualunque medico. L’internista è spesso chiamato ad occuparsi dei casi che i medici di settore non riescono a risolvere. Essi, infatti, si occupano con grande successo di alcune malattie, poche di numero ma delle quali, in verità, sanno tutto e che curano con efficacia ma non si interessano delle morbosità che non rientrano nel loro schema professionale. Ecco che compare la figura dell’internista che deve fare ordine sull’insieme dei sintomi del paziente e districarsi fra malattie organiche e funzionali. A volte si tratta di una malattia complessa che coinvolge più apparati e organi, in altri casi si tratta di disturbi psichici (che qui identificheremo con il termine funzionali), altre volte si tratta di una commistione. Ora, tornando ad Anna O, appare difficile poter interpretare il caso con un quadro morboso predefinito ma anche con una disfunzione di organo o di apparato. Applicando quindi il principio che la pratica clinica ci insegna quotidianamente, che più sono i sintomi e maggiore è la probabilità che essi non siano riconducibili ad una malattia organica, devo dire che le cose non sono sempre così evidenti come nel caso di Anna O. Quanti esami diagnostici, con importante ricaduta sulla spesa sanitaria, sarebbero stati richiesti a questa giovane donna se fosse vissuta nella nostra epoca! Confrontiamoci e allora vedremo quante volte i medici cadono, anche ingloriosamente. Intanto si deve chiarire quali sono le categorie attraverso le quali il medico decide, fa cioè le sue diagnosi e prescrive le sue terapie. Si tratta di un processo razionale basato sulle conoscenze. Ho sentito il bisogno di fare questa precisazione poiché da anni si discute di conoscenza intuitiva e delle sensazioni che il medico avrebbe di fronte a quadri clinici complessi e di non apparente facile soluzione. Addirittura esiste una componente di pensiero forte culturalmente e numericamente, la psicologia cognitiva che si occupa della cosa con risultati che sono, come al solito, contradditori e confondenti. A volte le cose sono per noi così familiari che apparentemente superiamo alcuni passaggi logici poiché abbiamo pratica del problema che ci viene presentato e forniamo una spiegazione e un’interpretazione che può apparire non razionale ma che in realtà lo è perché si basa sull’esperienza, appunto sulla consuetudine di pregressi e ripetuti approcci razionali. Noi facciamo errori, e molti, perché non abbiamo il dominio cognitivo di tutti i passaggi che il problema che stiamo esaminando richiede. Per i pazienti con sintomi non spiegati da una patologia organica si parla, in termini psichiatrici, di disturbo da conversione (DSM-IV) o disturbo motorio dissociativo (ICD-10). In passato il termine usato era isteria. Alcuni termini, quali psicogeno, psicosomatico e somatizzazione, suggeriscono che il problema sia di tipo psicologico. Io preferisco utilizzare il termine ottocentesco di disturbi funzionali, più adeguato al tono colloquiale della trattazione e certamente, per la sua genericità, più comprensibile (9,10).
I sintomi funzionali
Utilizzo il termine in opposizione ad organico e i sintomi che descrivo in questa sezione sono da considerare la conseguenza di un processo ideativo legato o meno ad una condizione di alterato comportamento mentale, ammesso che esista una normalità cui fare riferimento. Sotto il profilo colloquiale la normalità appare definibile come ciò che accomuna la maggioranza degli individui ma sotto il profilo clinico essa appare di molto difficile definizione. Questi sintomi sono prevalenti nell’età giovanile ma si trovano anche nell’adulto, anche di età avanzata. In genere esiste sempre una giustificazione personale, familiare, sociale ma è spesso difficile da individuare perché lo stesso paziente, o i familiari che lo accompagnano, la nascondono più o meno inconsciamente. A volte infatti essi non la rivelano perché non ne sono a conoscenza e ignorano le circostanze che sono causa della tensione o del contrasto psicologico o non attribuiscono loro alcun valore causale, a volte tengono volutamente nascosta la cosa perché pensano che tu possa trovare un’altra giustificazione e superare così un argomento e una causalità che alla fine essi considerano quasi una vergogna da nascondere alla conoscenza degli altri. E’ possibile definire questi sintomi e segni con un’attenta anamnesi e un accurato esame clinico. Spesso i sintomi funzionali sono variabili e questo è il primo grande elemento di sospetto che tu ricavi dall’anamnesi ma la conferma deriva dalla loro variabile obiettività durante l’esame clinico che deve ripetersi anche più volte nel tempo. Inoltre, la presenza di più sintomi insieme o la loro variabile associazione, come nel caso di Anna O, è il primo elemento da ricercare per considerare il quadro non organico. Infine si deve richiamare ‘la belle indifference’, espressione che vuol sottolineare il distacco con cui il paziente vive il suo sintomo a riprova della sua non organicità. In realtà questa non è di univoca interpretazione e a volte può esprimere anche un certo atteggiamento psicologico che si riscontra anche nelle patologie organiche di “coraggio” di fronte alle avversità. In questo articolo ho voluto puntualizzare alcune note per offrire ai medici internisti alcune puntualizzazioni con l’intento di facilitare il loro lavoro.
Diarrea
Ricordo sempre di aver curato per anni per una neoplasia renale un uomo giovane che aveva interessi commerciali importanti. Aveva molte possibilità economiche ed era solito passare in Brasile qualche mese, due e anche tre volte all’anno. Ora lui mi sottoponeva sempre il problema della sua diarrea, tre, quattro evacuazioni liquide al giorno. Lui stesso mi diceva che l’ultima scarica la rendeva durante il volo da Roma a Rio dove aveva una funzione intestinale regolare e che di nuovo la prima scarica intestinale ricominciava nel mezzo dell’Atlantico durante il volo di ritorno. La cosa appare molto chiara ma non sempre è così. Era il paziente che mi offriva la possibilità di una diagnosi di disturbo funzionale ma molti non lo fanno sia perché le cose non sono così definite, sia perché negano di avere problemi di tensione emotiva o non la considerano così importante da provocare una sintomatologia a carico di qualche organo.
Dispepsia
Indica la presenza di numerosi sintomi riferibili al tratto digestivo superiore: il senso di peso epigastrico, la pirosi, il dolore in ipocondrio destro, la flatulenza, la sonnolenza, la bocca amara (Criteri di Roma III) (3). Si associano fra loro in modo differente e non necessariamente sono presenti tutti insieme. La prevalenza dell’affezione è fra il 5 e 11% della popolazione generale considerata esente da malattie (3). La dispepsia funzionale ha per caratteristica l’accentuarsi e la remissione dei sintomi nello stesso giorno, nella settimana e nel mese con periodi più o meno brevi di remissione completa. I sintomi non hanno quindi niente di caratteristico se si esclude il peggioramento progressivo sempre assente nelle forme funzionali. La diagnosi però non può prescindere dall’esclusione di forme organiche (l’ulcera peptica, la neoplasia gastrica e /o esofagea, la calcolosi biliare, farmaci gastro lesivi, la pancreatite cronica, la malattia di Crohn e le malattie infiltrative del tratto digestivo e la gastroparesi) e quindi dalla esecuzione delle indagini adeguate, endoscopia digestiva in particolare. Una questione dibattuta sul piano fisiopatologico è se la gastroparesi, l’evidenza cioè di uno svuotamento gastrico rallentato, giustifichi e spieghi i sintomi della dispepsia funzionale. È certo che i pazienti con gastroparesi hanno i sintomi della dispepsia funzionale ma solo un terzo dei pazienti con dispepsia, quando valutati per lo svuotamento gastrico, mostrano un marcato rallentamento. Quindi si può ragionevolmente ipotizzare che
1) la gastroparesi è clinicamente simile alla dispepsia funzionale ma le due affezioni hanno una fisiopatologia differente
2) che la gastroparesi sia una componete della dispepsia funzionale, permanente o transitoria e ricorrente insieme a qualche altro meccanismo disfunzionale non evidenziato, come la ridotta compliance del fondo gastrico (la disaccomodazione fundica) o la presenza di una ipersensibilità alla distensione gastrica. Questo spiega il senso di peso durante l’assunzione di cibo e la incapacità di terminare il pasto (mi sento subito pieno). La disaccomodazione gastrica infine si associa al rilasciamento dello sfintere esofageo inferiore dando così spazio ai sintomi di reflusso acido sull’esofago che sono alla base della malattia da reflusso, il che spiega l’overlap fra i due sintomi. Infine è possibile che gli stessi meccanismi funzionali interessino il duodeno, il che giustifica il richiamo dei sintomi in ipocondrio destro. In conclusione appare difficoltoso fare diagnosi di malattia funzionale senza l’uso delle indagini endoscopiche che diventano obbligatorie quando alla dispepsia si associano i così detti sintomi di allarme che definiscono un profilo di rischio di malattia organica:
• età > 45-50 anni
• calo ponderale rilevante (> 10% del peso corporeo)
• vomito
• anemizzazione
• disfagia
• familiarità per neoplasie digestive superiori
• pregressa gastroresezione
• pregressa ulcera peptica duodenale non seguita da eradicazione
che sono sempre da considerare con attenzione come associati a una malattia organica che i sintomi da soli non possono escludere.
Fibromialgia
Questa condizione si riferisce a soggetti che presentano dolori spontanei in più sedi muscolari evocabili in particolare con la digito pressione. Si sono così definiti i ’tender points’ dolorabili che fanno parte del quadro diagnostico. In realtà la diagnosi appare più difficile di quanto sembra a causa di una non sempre corretta definizione delle zone dolorose, della variabile associazione con l’astenia, con il sonno non ristoratore, con i disturbi della sfera psichica (deficit d attenzione e di memoria, ansia e depressione), con i sintomi digestivi (dispepsia e colon irritabile) e neurologici (parestesie, gambe senza riposo) e perché la fibromialgia si associa con varie comorbidità reumatologiche e psichiatriche, così da render difficile la diagnosi di certezza che è comunque clinica e non laboratoristica né strumentale (7). Se si considera che essa ha una prevalenza del 2,5% nella popolazione generale e rappresenta la causa più frequente di dolore cronico, si comprende come sia frequente e quindi imbarazzante imbattersi in questa entità morbosa difficilmente individuabile sul piano della clinica (4). L’internista rimane nel dubbio se in realtà la fibromialgia sia presente e alla fine anche come curarla. Nella mia esperienza devo sottolineare come questa malattia si associ sempre ad altre condizioni come l’ansia prima di tutto e spesso alla depressione. È difficile stabilire quale sia il momento causale inziale ma i soli risultati terapeutici significativi che ho ottenuto si sono basati sull’uso della benzodiazepina e degli inibitori del reupatke della serotonina.
Conclusioni
Non so se, allo stato dei fatti, sia più conveniente tentare una terapia farmacologica che è diretta al trattamento della associazione ansia/depressione e sull’uso di sintomatici, con tutte le conseguenze che il farmaco comporta, o se invece non sia più conveniente tentare di conviverci, rassicurando il paziente della benignità del sintomo, il che lo rende sempre più sopportabile.
Note:
1 – Il potenziale pre-motorio è una misura dell’ attività rilevata nell’area della corteccia motoria del cervello che anticipa il movimento volontario. E’ espressione
del contributo corticale al movimento volontario.
2 – Il segno di Hoover positivo indica il mancato movimento in direzione opposta di un arto al sollevarsi dell’altro. Il fenomeno è rilevabile sostenendo un
calcagno con il palmo della mano e facendo sollevare l’altro arto mentre il paziente è supino. Il disturbo funzionale si esprime con un mancato abbassamento
del calcagno.
3 – A questo proposito si sottolinea come a volte il paziente riesce a coprire brevi distanze stando seduto su una sedia con le ruote e spingendosi con le gambe
mentre afferma di non poter camminare. A parte la patologia dell’anca che si esprime con dolore il dato parla a favore di un sintomo funzionale.
4 – A 22-year-old woman was unable to move her legs on recovering from a minor gynaecological operation. Continence was preserved. Her legs felt numb. On
examination, both legs were apparently completely paralysed but tone, tendon reflexes and plantar responses were all normal. There was a non-anatomical
distribution of cutaneous sensory loss and errors occurred on testing proprioception at a rate greater than would be expected by chance.
Bibliografia:
1) Hunter D. Hysteria, Psychoanalysis, and Feminism: The Case of Anna O. Feminist Studies. 1983; 9:464 -488
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